“Quella della bici è l’unica catena che ci rende liberi”. Frase vera più che mai in questo periodo di lockdown. Perché quando potremo pedalare tranquillamente (quando e dove vorremo), sarà segno di una ritrovata libertà, almeno di muoverci. Vera, perché la bicicletta stessa ci “traghetterà” verso la libertà e la normalità nel periodo post-Covid. Consentendoci una mobilità in sicurezza dal punto di vista sanitario.
A livello globale, sono tutti d’accordo, infatti, nel considerare la bicicletta come il mezzo di trasporto ideale per gli spostamenti urbani durante l’emergenza Covid, perché in grado di garantire il distanziamento sociale, che con tutta probabilità dovremo mantenere anche nelle prossime settimane, nella cosiddetta fase 2 che in Italia scatterà il prossimo 4 maggio. Al contrario, per motivi sanitari, sarà penalizzato il trasporto pubblico. L’ alternativa non può essere un ritorno all’uso massivo dell’auto, soprattutto nelle grandi città. La bici sembra così rappresentare la soluzione giusta.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nei giorni scorsi ha pubblicato una guida in cui si legge “Quando possibile, considerate di andare in bicicletta o camminare: questo garantisce il distanziamento fisico, aiutando nel contempo a soddisfare i requisiti minimi di attività fisica quotidiana, che può essere più difficile a causa del telelavoro e dell’accesso limitato allo sport e ad altre attività ricreative“.
Come diffuso da CONEBI (Confederation of the European Bicycle Industries) molte città nel mondo si stanno preparando, adeguando le proprie strade ai ciclisti. Nascono nuove piste ciclabili temporanee e parte degli spazi già esistenti vengono adibiti alla mobilità dolce.
A Berlino, per esempio, si legge nel comunicato di CONEBI, diverse strade hanno nuove e ampie piste ciclabili create dallo spazio generalmente destinato ai veicoli a motore, Bogotá ha trasformato 100 km di strade in piste ciclabili di emergenza, e la città di Budapest ha appena progettato una rete ciclabile lungo le principali strade.
A Bruxelles, l’intero centro storico della città sarà una zona 20 km/h con priorità per pedoni e ciclisti. Parigi e Madrid stanno preparando una strategia a lungo termine e stanno attualmente analizzando come supportare le biciclette come primo mezzo di trasporto dopo la rimozione delle misure di blocco. Il concetto di mobilità soft nel quadro del pendolarismo urbano sta quindi prendendo piede in questo momento molto difficile.
Anche in Italia le associazioni di settore chiedono a gran voce di investire sulla mobilità a due ruote. Confindustria ANCMA in un comunicato del presidente Paolo Magri diffuso nei giorni scorsi chiede che “si continui con la politica di diffusione dell’uso della bici, delle infrastrutture e delle politiche di mobilità sostenibili per vedere città più smart e soprattutto, dato il momento, più sicure in considerazione dei molteplici aspetti positivi che ricadrebbero sulla nostra salute“.
Nell’incontro in teleconferenza del ciclo “Superare le distanze” sul tema “La mobilità delle persone dopo l’emergenza coronavirus” cui ha partecipato anche ANCMA e altre realtà dell’automotive è emersa la necessità di un “maggiore utilizzo dello smart working, mezzi di trasporto alternativi all’auto privata e una diversa fruizione degli orari di lavoro e di studio, con conseguente smaltimento del traffico e una flessibilità diversa di orario nell’utilizzo dei mezzi pubblici. Sarà inoltre necessario costruire una visione di mobilità che permetta di coniugare accessibilità, sostenibilità e resilienza“. Un futuro in cui automotive, mobilità alternativa e mobilità soft cooperano in sinergia a tutto vantaggio del cittadino.
L’Assessore alla mobilità e ai lavori Pubblici del Comune di Milano Marco Granelli, in un lungo post su Facebook ha affrontato il tema “la mobilità al tempo del coronavirus”. Nel post si legge tra le altre cose che “è necessario compiere un salto di qualità sull’utilizzo della bicicletta. Per questo stiamo mettendo in campo un’azione straordinaria di realizzazione di percorsi ciclabili e di zone 30. Stiamo predisponendo atti e progetti per mettere in strada circa 35 km di nuovi percorsi ciclabili, da aggiungere ai poco più di 200 già esistenti, in un tempo compatibile con l’emergenza. E i primi saranno realizzati in maggio e giugno 2020“.
Una visione comune dunque che mette d’accordo più parti. Tante le proposte e le idee. Interessante a questo proposito il documento in cui il Comitato Scientifico dell’Associazione Esperti Promotori della Mobilità Ciclistica riassume le prime linee guida. È stato pubblicato integralmente su bikefortrade.it: Le proposte degli esperti promotori della mobilità ciclistica per la fase 2.
Questa pandemia lascerà dei segni, alcuni dolorosi purtroppo e impossibili da dimenticare, altri tracceranno la strada verso abitudini di vita più soft. Questa è la mia speranza e il mio sogno. Del mio sogno di rinascita ho parlato con gli amici di Turbolento in questo articolo:
Il mio sogno di rinascita ha la forma e la velocità di una bicicletta
2 commenti
Il problema è far cambiare mentalità agli automobilisti che considerano le bici come un intralcio al loro passaggio e non tengono conto della velocità con la quale sfiorano (e sottolineo “sfiorano”, perché passano sempre a poche decine di centimetri) noi poveri ciclisti che cerchiamo di rispettare il codice della strada. 🙁
È vero, in Italia c’è poco rispetto per i ciclisti. La causa è anche che purtroppo non abbiamo spazio sulle strade e quindi veniamo spesso percepiti come quelli “che danno fastidio”. All’estero, in alcuni paesi come Belgio, Germania, Paesi Bassi, le carreggiate hanno le corsie riservate alle biciclette. Non parlo solo di piste ciclabili ma di semplici corsie delimitate a bordo strada per esempio. Così sarebbe più facile la convivenza tra i vari utenti della strada. Ciò non toglie che ci vorrebbe più rispetto. Io da automobilista non ho mai provato “fastidio” di fronte a un ciclista, piuttosto rallento e aspetto di avere spazio.